Migliaia di bambini senza genitori, bloccati nelle case famiglia e nelle strutture specializzate; e allo stesso tempo altrettante coppie che aspettano, nella speranza che uno di questi piccoli entri a far parte della loro vita.
L'attesa per farli incontrare può rivelarsi nel nostro Paese lunghissima ed estenuante: anche più di sei anni.
Tanto da costringere molte famiglie interessate a rinunciare al desiderio di avere un figlio.
Per spiegare la crisi delle adozioni sia quelle nazionali sia quelle internazionali - si può partire da qui. È questa difficoltà a mettere in evidenza i limiti di un'istituzione per la quale è diventata urgente una riforma strutturale. Le ultime novità risalgono al 2015 e hanno messo ordine solo in parte, incidendo soprattutto sugli affidi. Restano i molti problemi irrisolti, dai già citati tempi di attesa all'assenza di politiche di sostegno adeguate per le future famiglie.
E intanto la Banca dati nazionale dei minorenni dichiarati adottabili e dei coniugi «aspiranti all'adozione nazionale e internazionale», istituita con la legge 149/2001 e successivamente disciplinata con varie norme e decreti attuativi, non è ancora entrata pienamente in funzione. Il risultato è che oggi le associazioni che si occupano di mettere in contatto questi minori con le coppie interessate all'adozione spingono di più verso gli affidi temporanei, che implicano un percorso più corto e leggero, consentendo in un secondo tempo proprio grazie alla riforma entrata in vigore sei anni fa la possibile trasformazione in adozione. Così gli affidi sono diventati una sorta di scorciatoia che finisce per «spiazzare» chi, fin dal principio, punta sulla soluzione definitiva.
A fotografare la situazione e a dare conto del problema sono le ultime cifre rese note dal ministero di Grazia e giustizia nel 2018. Se tre anni fa le domande di adozione nazionale erano state quasi 8.400, le dichiarazioni di adottabilità emesse dal tribunale per i minorenni sono state poco meno di 1.200. Mentre le sentenze con esito positivo sono state solo 902. Insomma, meno di una coppia su otto è riuscita a raggiungere l'obiettivo che si era prefissa. Diverso il caso degli affidi. Nonostante non esista ancora una banca dati, è possibile stimare circa 30mila procedure ogni anno.
Al di là dell'emergenza Covid, che ha colpito soprattutto le adozioni internazionali, il declino è cominciato molti anni fa. Se, come ha registrato l'Università Cattolica di Milano, le domande di adozione nazionale erano state 16.500 nel 2006, 12 anni dopo il numero è crollato a 8.621. «In Italia adottare un bambino è diventato davvero molto difficile conferma Cristina Franceschini, avvocato che si occupa di giustizia minorile -. Per le procedure nazionali i tempi sono lunghissimi, in media da tre a sei anni. Così molte coppie hanno tentato la strada internazionale. Che però prevede costi molto elevati, fino a 30mila euro».
Le adozioni nazionali riguardano sia i minori non riconosciuti dai genitori al momento della nascita, sia quelli allontanati dalle famiglie di origine in situazioni considerate irrecuperabili. «I primi casi sono relativamente più semplici, la sentenza di adottabilità è praticamente immediata. Nel secondo caso, invece, i giudici cercano fino alla fine di capire se i genitori naturali siano in grado di prendersi cura dei figli». Nel solco di una legge molto garantista, che però rischia di creare situazioni complicate. «Il tribunale fa verifiche approfondite, chiamando in causa tutti i soggetti coinvolti. Questo naturalmente allunga i tempi. Così, i bambini allontanati dalle famiglie, in attesa che si concluda il procedimento, vengono dati in affidamento a strutture specializzate, a persone che hanno fatto domanda di affidamento o a potenziali genitori ritenuti idonei per l'adozione». Al termine il piccolo può tornare dai suoi genitori biologici, qualora il giudice lo ritenga opportuno, oppure trovare una nuova famiglia.
«Ma ci sono anche casi limite, che riguardano le cosiddette adozioni difficili. Coinvolgono minori con problemi psichici, disabilità o traumi profondi. In Italia le coppie che decidono di adottarli sono lasciate completamente sole. E così questo tipo di domande cala di anno in anno». La conseguenza? «Questi minori sono dichiarati adottabili, ma non trovano mai una famiglia. Una volta maggiorenni, finiscono spesso nelle case famiglia per adulti. Senza mai avere una vera famiglia nella quale crescere». Non finisce qui: proprio a causa dei tempi troppo lunghi, a volte anche i minori non «difficili» arrivano alla maggiore età senza mai essere stati adottati. «Succede spesso che i ragazzi compiano 18 anni nelle famiglie affidatarie, perché gli affidi possono essere rinnovati ogni due anni senza termine. Una soluzione temporanea diventa così definitiva, senza però mai garantire del tutto i bambini e le coppie che si prendono cura di loro. Questo toglie certezze sia a chi fa domanda di affido sia a chi, invece, è in lista di attesa per un'adozione».
Si spiega così il motivo per cui, a fronte di un numero sempre minore di adozioni nazionali e internazionali, gli affidi siano stabili a circa 30mila ogni anno. «Lo strumento è più flessibile. Ma abusarne, come spesso succede, è un errore. L'affido dovrebbe essere una misura di allontanamento temporaneo dalle famiglie di origine in casi estremi, non una soluzione definitiva ma priva di tutele».
Non sono solo gli affidi in famiglia a far discutere. Anche le procedure di affidamento alle case famiglia o alle strutture protette avrebbero bisogno di una revisione. «Nelle famiglie affidatarie arrivano circa 15mila minori ogni anno, altri 15mila vengono seguiti nei centri indicati dal tribunale. Sono numeri in crescita e questo anche per la crisi economica degli ultimi dieci anni. Come risulta anche dal report stilato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza pubblicato il 17 gennaio 2018, sempre più minori vengono allontanati dalle loro famiglie perché i genitori non hanno i soldi necessari per mantenerli o perché vivono in case fatiscenti. La strada maestra sarebbe quella di sostenere concretamente le famiglie in difficoltà. Spesso i servizi sociali, che scontano una sistematica assenza di fondi e personale, non sono in grado di farlo. Alla fine si finisce per versare in media 150 euro al giorno per affidare alle comunità i figli di famiglie in crisi».
Ecco perché da più parti si chiede di rivedere le norme. «La legge attuale ha troppe lacune. Bisogna ripensare sia la composizione dei tribunali per i minorenni sia il loro funzionamento. Attualmente il tribunale prevede sia la presenza dei giudici sia quella di psicologi ed esperti non giuristi. Così è difficile arginare i possibili conflitti di interesse. Bisogna fare in modo che il tribunale sia composto solo da magistrati e che questi si possano avvalere di consulenze esterne. Inoltre occorre rivedere la durata massima degli affidi, in modo che questi non possano dilatarsi all'infinito». In un limbo eterno che a volte trasforma in un incubo la speranza di diventare genitori.