La sentenza a favore di una moglie riporta alla luce la corsa al tribunale ecclesiastico dove spesso si è guidati poco da ragioni di “fede” e tanto da quelle del portafoglio.
Dicono che il tempo sia amico, che risolva ogni cosa, che medichi le ferite dell’animo.
Questo vale forse nella vita, meno nel diritto, un ambito scandito da una griglia di termini decadenziali e prescrizionali che sono il terrore degli avvocati e la rovina delle parti, in alcuni casi.
Ed infatti, le proprietà benefiche del tempo non andatele a raccontare a quel marito che, dopo aver decretato la fine del matrimonio scoprendosi omosessuale, ha pensato di fare una furbata e tentare la strada del processo alla Sacra Rota per far dichiarare la nullità del vincolo: una recente Cassazione, lo ha disilluso e ne ha tarpato le mire, utilizzando proprio il fattore tempo.
Nel nostro immaginario leghiamo le cause innanzi al Tribunale ecclesiastico che fanno annullare i matrimoni ai regnanti o esponenti dell’alta società o dello spettacolo, da Enrico VIII a Carolina di Monaco, da Vittorio Gassman a Sandra Milo o Valeria Marini: eppure il ricorso alla Sacra rota è più diffuso di quanto si pensi.
Già perché le motivazioni religiose, in genere, rimangono sullo sfondo dacchè le parti sono animate, piuttosto, da meri interessi di bottega, ossia quelli di far approvare (in gergo si dice deliberare) la pronuncia rotale nell’ordinamento giuridico del loro paese per nullificare gli effetti del matrimonio a ritroso ed impedire al giudice civile di potersi pronunciare, facendo decadere anche gli eventuali provvedimenti già emessi: se il matrimonio è nulla, insomma, non esiste un assegno di separazione o divorzio a favore del coniuge debole.
Sarebbe stato un bel full di assi per questo marito protagonista della vicenda di cui mi occupo, un bel colpaccio insomma, essendo stato nel frattempo condannato dal tribunale civile a pagare un assegno divorzile all’ex moglie: il blitz però non è riuscito perché la Cassazione lo ha stoppato rifiutando di deliberare la sua sentenza ecclesiastica di nullità con una motivazione che fa leva proprio sul tempo decorso dall’inizio del matrimonio.
Per la Suprema Corte, secondo un indirizzo ormai consolidato, decorsi tre anni di convivenza matrimoniale, l’ordinamento italiano non può dare valore alle sentenze rotali che dichiarano la nullità del vincolo, e ciò anche se la scoperta dell’omosessualità sia avvenuta dopo.
Per la Chiesa questa scoperta è sicuramente causa di vizio originario del consenso dell’altro coniuge, giustificando la nullità, ma per il nostro ordinamento, il fatto che la coppia abbia convissuto da marito e moglie per tre anni, limite invalicabile oltre il quale le pronunce del Tribunale ecclesiastico non hanno valore.
Ecco così che quest’uomo ora non saprà che farsene della sentenza della Sacra Rota (escludo, visto l’orientamento sessuale, che si risposerà in Chiesa) e così l’ex moglie può tirare un sospiro di sollievo e bussare mensilmente alla sua porta per riscuotere l’assegno, lei sì ringraziando il fattore tempo.