SPESE STRAORDINARIE: QUANDO IL DISSENSO NON BASTA E LA PARTECIPAZIONE ALLA SPESA È DOVUTO

Secondo quanto disposto dal legislatore, i genitori devono contribuire al mantenimento dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
L’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli è un obbligo di legge inderogabile ed irrinunciabile. Esso è parte integrante della responsabilità genitoriale, ovvero dell’insieme di diritti e doveri che sorgono in capo ai genitori per il solo fatto della procreazione. Contribuire al mantenimento dei figli significa provvedere non soltanto ai bisogni strettamente alimentari dei figli, ma a tutte le necessità di cura ed educazione degli stessi, e dunque alle esigenze abitative, scolastiche, sanitarie, sociali, ricreative, sportive, ecc.
In caso di “separazione” dei genitori, l’assegno di mantenimento versato dal genitore non collocatario all’altro è comprensivo delle sole spese ordinarie e non di quelle straordinarie, che invece dovranno essere versate di volta in volta nella misura stabilita con il provvedimento/accordo di separazione o divorzio. A loro volta le spese straordinarie si suddividono in quelle che non richiedono il preventivo accordo tra i genitori e quelle che invece necessitano obbligatoriamente del preventivo consenso. Quest’ultime devono essere richieste per iscritto all’altro genitore il quale è tenuto a manifestare il proprio motivato dissenso.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza però, il genitore convivente non è tenuto a concordare preventivamente e ad informare l’altro genitore di tutte le scelte dalle quali derivino tali spese, qualora si tratti di spese sostanzialmente certe nel loro ordinario e prevedibile ripetersi e riguardanti esigenze destinate a ripetersi con regolarità, ancorché non predeterminabili nel loro ammontare giacché il preventivo accordo è richiesto soltanto per quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita della prole.
Tale principio è stato nuovamente confermato da una recentissima ordinanza n. 33939/2023 della Corte di Cassazione pubblicata il 5 dicembre 2023.
Il caso oggetto del commento di oggi trae origine da un’ordinanza del Tribunale di Treviso al quale si era rivolta una madre chiedendo di condannare il padre al rimborso delle spese straordinarie da lei sostenute per il mantenimento della figlia, maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, comprendenti il canone di locazione dell’alloggio universitario. L’uomo si costituiva sostenendo che si trattava di spese non concordate preventivamente il cui rimborso pertanto non era dovuto. Il Tribunale accoglieva la domanda della donna e condannava il padre al pagamento delle spese sostenute per la locazione dell’alloggio universitario.
L’uomo impugnava immediatamente l’ordinanza avanti la Corte d’Appello di Venezia che, rigettando integralmente l’appello, evidenziava che per spese straordinarie dovevano intendersi quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli, e precisava che l’effettuazione delle stesse non richiede la previa informazione o concertazione con l’altro genitore, il quale può rifiutarne il rimborso soltanto nel caso in cui non rispondano all’interesse del figlio o risultino incompatibili con le sue condizioni economiche. Nel caso in esame la Corte riteneva accertati sia le disponibilità economiche dell’appellante, e pertanto la di lui capacità di farsi carico della spesa necessaria per l’alloggio universitario della figlia, sia l’interesse di quest’ultima, iscritta ad un corso universitario che prevedeva la frequenza obbligatoria per cinque giorni alla settimana e due sessioni di laboratorio. Ritenendo quindi, non significative le ragioni del dissenso manifestato dal padre, la Corte rigettava le domande dell’uomo.
Preso atto della sentenza di secondo grado il padre ricorreva in Corte di Cassazione lamentando la nullità della sentenza impugnata per difetto di motivazione adducendo che il canone di locazione dell’alloggio universitario non poteva essere posto a suo carico avendo manifestato il proprio motivato dissenso alla scelta della figlia di trasferirsi presso la sede universitaria.
La Corte, analizzate le argomentazioni delle parti, ripercorrendo il ragionamento e le motivazioni addotte dal giudice di secondo grado, ribadiva il principio secondo cui il preventivo accordo è necessario e richiesto soltanto per quelle spese straordinarie che per rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità esulano dall’ordinario tenore di vita. Anche per le spese eccedenti l’ordinario tenore di vita, la mancanza del preventivo accordo non determina automaticamente il venir meno del diritto al genitore che le ha sostenute al rimborso della quota di spettanza dell’altro, dovendo il giudice valutarne la rispondenza all’interesse preminente del figlio e al tenore di vita familiare.
Nel caso di specie, secondo la Corte di Cassazione il giudice di secondo grado aveva diffusamente e correttamente motivato la sentenza rigettando il ricorso dell’uomo evidenziando l‘utilità della locazione dell’alloggio ai fini della frequenza dei corsi universitaria da parte della figlia, la compatibilità dell’esborso con la situazione economica dei genitori e la sostanziale mancanza di valide motivazioni a sostegno del rifiuto del padre.
Visti quindi i principi giurisprudenziali ormai granitici e la corretta valutazione della Corte d’Appello, gli Ermellini rigettavano il ricorso dell’uomo e lo condannavano alle spese.